venerdì 28 febbraio 2014

Fonderia: la ricetta anticrisi si fa dolce

-Marco e Camilla partiamo dal vostro background personale: come sono nate le vostre passioni per la grafica e il mondo dei dolci?
C: Entrambi abbiamo studiato alla scuola di Design, quindi l’amore per la grafica è certamente sbocciato negli anni universitari. La passione per i dolci invece mi è nata qualche anno più tardi navigando tra i vari food blog, dove stile e gusto si fondono in foto bellissime. 



-E la vostra collaborazione?
M: Camilla ed io ci siamo conosciuti alla scuola di Design a Roma, poi ognuno a modo suo ha fatto la sua carriera. Io ho scelto Parigi, Camilla è rimasta a Roma. Quando ci siamo rivisti, dopo qualche anno, tra una chiacchiera e l’altra abbiamo pensato a questa collaborazione.
-La vostra è un'idea molto originale, quasi unica nel suo genere in Italia. Quando e come è nata?
È nata dalla noia di lavorare in pubblicità. Volevamo fare qualcosa di nuovo, di diverso, e farlo qui in Italia. I dolci piacciono molto a entrambi e ci sembrava un mondo difficile sì, ma molto stimolante e creativo.



-Per i vostri prodotti avete deciso di puntare sulla creatività e sull'unicità dei prodotti offerti. Avete incontrato difficoltà di qualsiasi tipo nell'unire due ambiti apparentemente così distanti tra loro?


In realtà non sono affatto distanti. Da sempre si decorano torte: perché non decorarle con un criterio estetico ben definito? Perché limitarsi alle roselline, alle greche, ai riccioli di panna? A volte qualche limite tecnico può capitare, ma ci piace pensare che un “Buon compleanno” possa essere scritto con un carattere tipografico diverso, non il solito corsivo. È un pensiero così banale eppure qui non ci aveva ancora pensato nessuno.

Le festività sono un’agenda “naturale”. Prima di Natale, prima di San Valentino, prima di ogni evento c’è da spremere le meningi. Ed esattamente come in agenzia ci sediamo a un tavolo e iniziamo a sparare idee, disegnare, creare. E poi ci sono gli ordini su commissione: quando un privato o un’azienda vuole stupire con un food gadget speciale noi siamo felicissimi e diamo il massimo in fatto di creatività.

-Quanto conta la selezione degli ingredienti nella realizzazione di un buon prodotto dolciario? Dove reperite le materie prime per creare i vostri dolci?
C:
È fondamentale. Molti dicono “usiamo ingredienti di eccellenza” e poi tra gli ingredienti trovi i grassi idrogenati. Noi abbiamo fatto una scelta precisa: non usiamo semilavorati industriali e basi già pronte. Niente margarina, ma solo burro. Il latte e la panna sono freschi e non uht. Il cioccolato non è un surrogato, ma cioccolato belga fondente 70%. E le uova… le uova le prendiamo direttamente da un’azienda agricola di Viterbo: sono uova fresche di galline allevate in libertà.

-Dove trovate l'ispirazione utile per creare nuovi prodotti?
La rete sicuramente è una fonte importante. Ma non stiamo parlando dei vari foodblog. Le ispirazioni le prendiamo soprattutto dai vari tumblr di grafica, arti visive e moda. Un poster di un graphic designer può essere l’input per una torta nuziale.



-Quanto ha influito la presenza sui social network per il lancio della vostra attività commerciale?
È stata determinante. Eravamo sui vari social da molto prima dell’apertura vera e propria e con i fan si è creato un vero e proprio rapporto di confronto e interazione. Con un annuncio scritto in ghiaccia reale e postato su FB abbiamo trovato la nostra meravigliosa pasticcera Stefania Guerrizio e sempre tramite social abbiamo fatto un concorso per aprire le porte in anteprima a 20 assaggiatori selezionati tra i fan. Siamo una pasticceria 2.0.

-Avete trovate nel binomio dolci-design la vostra ricetta anti-crisi?


Magari esistesse la ricetta anti-crisi! Ci è voluto tanto coraggio e un po’ di incoscienza ma oggi siamo qui e ci piace pensare che questo Paese può farcela. Siamo degli illusi?


-Quali consigli dareste ai giovani che vogliono aprire una start-up sperimentale come la vostra?Armatevi di pazienza, determinazione e un po’ di follia. Ce ne vogliono per restare in questo Paese. Preparatevi a imparare una nuova lingua difficilissima, quella della burocrazia. Googlate, cercate in rete, vagliate ogni possibilità e spulciate ogni bando statale che incentiva le imprese. Si può fare.

-Quali progetti avete per il futuro del marchio “fonderia”?
Un punto vendita a Tokyo! Hehe, sogni a parte ci piacerebbe diventare una vera e proprio firma per catering ed eventi non convenzionali. Abbiamo in programma collaborazioni con street artist italiani e stranieri, mostre, nuovi corsi. Seguiteci su FB e Twitter per restare aggiornati.



Grazie Patrizia per la disponibilità e la gentilezza, siamo felici di essere stati vostri ospiti.





venerdì 21 febbraio 2014

Vita da freelance: l'immaginazione.

Quando ero piccola, la mia immaginazione cresceva secondo dopo secondo. Questa era la mia principale caratteristica e sino a pochi giorni fa pensavo che lo fosse ancora. Mentre provavo a svelare più dettagli della trama del mio libro, ho scoperto che sebbene io abbia l’abilità di creare tutto ciò che voglio per i miei personaggi, c’è un muro che mi blocca.

Da bambini potevamo sentire le campane di Babbo Natale o vedere le fate ma quando siamo cresciuti ci siamo resi conto che nessuno di questi personaggi esisteva. Può esser vero che possiamo perdere la nostra immaginazione? Ho sempre dato 
l’immaginazione per scontata e mai avrei creduto di aver bisogno di aiuto, eppure eccomi qui.

In verità, ci sono alcuni esercizi che possono aiutarti ad aumentare la tua immaginazione e a renderti più ricettivo alle idee. Ne ho ricercati molti e di seguito elenco quelli che ritengo più accessibili.

1. Tu sai già quanto io sia ossessionata da Alice nel Paese delle Meraviglie. È un libro brillante, liberatorio e il film perfetto da guardare per mettersi in contatto con la propria immaginazione. In realtà, non c’è nulla in questo libro oltre l’immaginazione. Alice lo fa nel modo giusto. Il mio primo esercizio, ogni giorno, è questo: pensa a sei cose impossibili prima di colazione.

2. Tirati fuori dalla routine. Hai notato che ci sono alcuni angoli / posti dove non ti sei mai seduto? Prospettive della tua casa che non hai mai visto? In casa, ho programmato di sedermi in posti dove non mi sono mai seduta: sul pavimento, non sul divano o sulla sedia, e lì sognare ad occhi aperti.

3. Esci per una passeggiata, siediti sulle panchine e guarda gli sconosciuti. Inventati delle storie sulle loro vite, chi sono, perché sono usciti, che cosa staranno pensando.                       

4. Trova sempre il tempo di credere a qualcosa durante il giorno. Di credere che hai un super potere, che sei una spia o qualcos'altro di interessante. Credici e agisci come se avessi realmente questo grande segreto.

Traduzione a cura di Saba Ercole dell'articolo "The freelance life 10/immagination" di Corina.

Foto: Viktor Hanacek, Just Clorful Bubble, da www.picjumbo.com

giovedì 13 febbraio 2014

Mauro e Yifan – wedding voyage partendo dalla Puglia.



E’ nella splendida Puglia che inizia il viaggio di nozze di Mauro e Yifan lungo l’Italia. Prima sosta: la campagna alle porte di Bari, dove programmare le prossime tappe e fare uno spuntino, meglio se a base di focaccia!



Una vecchia macchina fotografica (Yifan è ancora innamorata di quelle con il rullino, appartenuta a suo padre, e la usa solo per le occasioni speciali), una cartina e…ops! un bacio, nascosto tra le pieghe della mappa.







Un altro bacio prima di avventurarsi ancora in questa terra antica, dove i passi sono scanditi dai filari di ulivo, forti e bellissimi come solo il vero amore sa essere.





Le foto presenti in questo articolo sono in licenza CreativeCommons.

venerdì 7 febbraio 2014

#coglioneNo nel paese dove la creatività non si mangia.

Mi sono imbattuta nella visione di Art&Copy, documentario del 2009 girato da Doug Pray, quando sul web la “campagna” #coglioneNo del collettivo ZERO iniziava a diventare virale, ed ho pensato che mai contrasto sarebbe potuto essere più netto.
Più che contrasto, forse sarebbe giusto parlare di voragine: in Art&Copy vediamo le interviste ad alcuni dei più brillanti creativi nel campo della pubblicità del XX secolo, autori di campagne storiche come I love NY, Think Different della Apple, Got Milk. George Lois, Mary Wells Lawrence, Dan Wieden: guru della creatività, titolari di agenzie che sembrano tutto fuorché luoghi di lavoro, che nel film raccontano le loro idee più riuscite in un lungo (a tratti, devo ammetterlo, davvero noioso) panegirico, volto a dimostrare come proprio grazie alle loro idee siano riusciti non solo a raggiungere l’obiettivo prefissato dal cliente, ma altresì a farlo in modo da cambiare completamente la percezione di una porzione di realtà da parte del pubblico. D'altronde, come dice lo stesso Lois, good advertising change the perception of everything e se lo afferma uno come lui, che è riuscito con successo ad imporre l’immagine di un esordiente Tommy Hilfiger alla pari con i grandi nomi dell’alta moda, non possiamo che essere totalmente d’accordo.
Nei tre video della campagna #coglioneNo, invece, quello che vediamo è la parodia di ciò che accade a molti che lavorano nel campo delle professioni creative in Italia: un idraulico, un antennista e un giardiniere vengono contattati da clienti esigenti che, piuttosto che pagare a fine lavoro, offrono in cambio visibilità o la promessa di future collaborazioni. Storia vecchia, già sentita, che accomuna più in generale chi si trova ad affacciarsi al mondo del lavoro e, più sentitamente, chi con questa “creatività”, una volta capito bene cosa sia, cerca di guadagnarsi da vivere. 
Ho letto molti commenti in rete riguardo #coglioneNo: c’è chi l’ha elevata a riuscita denuncia di un problema reale e  chi, invece, l’ha definita una difesa, un po’ ruffiana, di una situazione non difendibile (secondo Niccolò Contessa su www.minimaemoralia.it, il voler fare i creativi oggi è una aberrazione dei social network così come lo è il voler fare il Grande Fratello per colpa della TV). In realtà, pochi commentatori hanno davvero capito il senso della campagna #coglioneNo (e sicuramente non chi, al pari di Niccolò Contessa, ritiene che il lavoro non retribuito sia una conseguenza non solo di un eccesso di “creativi” rispetto alla reale domanda, bensì anche di una tendenza da parte degli stessi a lavorare gratis per ottenere visibilità). 
Ora, premesso che di gente che voglia fare il “designer” di qualcosa senza tenere in adeguato conto il talento naturale e la necessità di una formazione costante è piena la terra, e che obiettivamente la disponibilità di programmi e strumenti tecnologici a prezzi accessibili dà a molti l’illusione di poter fare i videomaker o i fotografi di moda pur non avendole le oggettive capacità, quello che denuncia davvero la campagna #coglioneNo è come sia facile che venga meno il giusto compreso quando si tratta di una professione ascrivibile alla categoria dei “creativi”. È indubbio che molti, soprattutto in una fase iniziale, accettino lavori poco o nulla retribuiti per ottenere quella visibilità che lavorando con le immagini e le parole è spesso la conditio sine qua non il proprio portfolio e i propri contati non aumentano, ma il vero punto della questione non è il fatto che da entrambe le parti ci sia stata la decisione di portare avanti un progetto senza alcun compenso, bensì quando (ed è questo il mal vezzo denunciato dalla campagna #coglioneNo) questo compenso era stato pattuito e poi, a fine lavoro, si scopre che il budget non c’è più, la crisi ha polverizzato i fondi destinati al pagamento del lavoro e mille altre scuse meschine e infami che chi lavora come grafico o fotografo o designer o regista avrà sentito infinite volte (mentre è decisamente più insolito che accada dopo una cena al ristorante o dopo che l’imbianchino è venuto a pittarci casa). Questo venir meno all'accordo stipulato tra le parti è vergognosamente più semplice quando chi sta di fronte al cliente è non solo una persona giovane, ma professionista in un settore dove la progettualità e l’idea hanno un’importanza decisiva rispetto alla realizzazione materiale. E questo è sinonimo di un atteggiamento più complesso, e più ampio, che si avverte ormai da molto tempo in Italia e che mira ad abbassare, se non a denigrare, le professioni intellettuali e chi decide di intraprendere questa scelta. Fare il grafico o il regista, prima ancora che essere un lavoro creativo, è una professione intellettuale e in questo nostro paese dove ai giovani, e ai giovani che studiano in particolare, spesso viene consigliato di tornare ai campi o di andare al mercato a trasportare le cassette della frutta, è inevitabile che poi si ritenga che quegli stessi giovani che usano la loro mente, le loro idee, la loro fantasia per lavorare non meritino di essere pagati. Perché non fanno un “vero lavoro”, perché il loro è un lavoro che “al massimo porta via mezz'ora”, perché “anche mio cugino sa fare un sito”. Perché, come i creativi protagonisti di Art&Copy affermano, il desiderio di chi lavora seriamente nel campo della creatività è portare anche uno squarcio di bellezza e di stupore in un contesto sempre più piatto, sempre più fintamente capace di stupirsi, sempre più incapace di creare davvero. Creatività è bellezza e la bellezza, spesso, è arte: ma forse proprio per questo noi creativi rimarremo in Italia, dei coglioni; dopo tutto, per parafrasare un politico nostrano, arte, bellezza e creatività non sono cose che si mangiano.